I ritratti
Uno spazio importantissimo della sua arte, Faccioli, lo dedica al ritratto, che per lui non è identificazione fotografica. I suoi ritratti, infatti, non potranno mai fare parte di una fredda e asettica galleria di antenati, perché per il pittore bolognese i visi delle persone sono uno strumento per raggiungere la loro anima e raccontare la loro storia. Nel ritratto, l’artista arriva ad esprimere in modo profondo il suo concetto di verismo psicologico che consiste nel carpire, dai visi stessi, l’umano desiderio. E per raggiungere questo scopo, a volte li rappresenta nell’ambiente che è loro più consono.
Il ritratto di Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini), per esempio, fa parte di questo filone. Lo scrittore è seduto davanti alla sua scrivania e tutti gli oggetti che fanno da contorno alla sua figura contribuiscono in modo consistente a completare il suo carattere in tutte le sue sfaccettature. Stecchetti stesso, a conferma del risultato stilistico e psicologico, mise le parole al dipinto, con la seguente poesia:
"Io conosco l'applauso e le fischiate,
lo schiaffo, la carezza, il bacio e il morso,
Il velen del pensiero e del discorso,
La calma della fede intemerata.
La strada del dolor l’ho insanguinata,
Il sentier della gioia io l’ho percorso,
Ho bevuto la vita a sorso a sorso
E depongo la tazza ormai vuotata.
E pur se con la mente alla passata
Età ritorno ed al cammin trascorso,
La mia serenità non è turbata.
Seguono l’anima e l’occhio in alto il corso
Lieve del fumo con la pace usata
E in fondo del bicchier non c’è il rimorso”
Anche il ritratto della giovanissima Matilde Serao appartierne al sopraccitato filone; come pure quello di Giacomo Leopardi di cui una riproduzione fotografica De Amicis teneva nel suo studio.
Un mio amico cieco associa il colore rosso con l’atteggiamento della sicurezza e il sentimento della serenità femminile. Quale espressione psicologica Faccioli ravvisasse nel colore rosso non so. E’ certo che l’artista bolognese lo inserisce nella maggior parte dei ritratti femminili, come coloritura di particolari o come tinta dominante. Per l’artista è un importante punto di riferimento. I dipinti “La marchesa Maria Mazzacurati Talon” e “Direttorio”, hanno rosso il cappello; “Contadina” il bordo del fazzoletto che incornicia il capo; “Beatrice Faccioli” il cuscino appoggia-schiena della poltrona; “Ventaglio rosso” e “Nastro rosso” chiaramente gli oggetti indicati dal titolo.
Certo è che Faccioli usa il rosso nei ritratti per descrivere la luce, per illuminarli. Senza dubbio il suo lavorare in interni, e bui, oltre ad essere una tecnica pittorica, è un moto della sua sensibilità, è un’esigenza del suo inconscio. Faccioli, negli interni, come si è detto, non usa luce diretta, a meno che nella scena non vi siano lampade. L’artista non apre mai le finestre, la luce che viene dall’esterno non fa parte della sua estetica. Quindi la luce è il rosso e rosso è qualsiasi oggetto o indumento che può creare la luce. E così la giovane Giulia Faccioli Rizzoli ripresa con piume rosse sul cappello e garofani rossi appuntati alla scollatura di un corpetto a scacchi rossi e neri; il viso e i capelli di una giovanetta, “Ragazza con fiocco rosso”, sono illuminati da un abbigliamento e da accessori rossi. Più c’è rosso e più c’è luce. Ma il punto più alto di questa sua particolare tecnica pittorica, Faccioli lo raggiunge in “Signora con ombrellino rosso”. La ripresa, al contrario di tutti gli altri ritratti è, certamente, all’aperto, ma i toni della luce esterna non sono espressi. Esistono soltanto i rossi dell’ombrello, dell’abito, del ventaglio, dei fiori nei capelli e sul cappello: un bagliore di luce e l’apoteosi del rosso.
Altra caratteristica dell’impianto costruttivo del ritratto di Faccioli è l’uso del“primo piano”, con effetti tridimensionali, in modo da fare emergere i particolari che più esaltano la personalità del soggetto e possano farne intuire il profondo. Se il “primo piano” è, per l’artista bolognese, lo specchio dell’anima delle persone, questo suo credo vale anche per gli animali dei quali Faccioli traccia una piccola ma indimenticabile galleria.
E l’effetto “primo piano” lo inserisce anche nei dipinti che al primo sguardo, possono sembrare le classiche “pose ufficiali” davanti ad un obiettivo fotografico, quelle tipiche per essere tramandate ai posteri.
Nel 1909 ritrae la figlia Bice in abito da “debutto”. Ciò che l’artista trasmette al fruitore non è la sontuosità del tessuto, il modello dell’abito da gran sera, la mano elegantemente guantata che regge il ventaglio. Ciò che vuole mettere in risalto è lo sguardo luminoso e il sorriso sereno che trasmettono la consapevolezza dell’importanza dell’occasione. L’aspetto fisico è un tutt’uno con il proprio intimo e manifesta le sensazioni profonde e quelle del momento che sta vivendo. Così come nel ritratto “Mio padre”: negli occhi vivacissimi si legge la stanchezza di una vita trascorsa e nello stesso tempo la sicurezza del presente , una forte sicurezza come la mano che impugna il bastone. Nell’impianto di questo dipinto l’incarnato del viso e della mano prendono vita dalla luce rosata di una fonte che indubbiamente parte dai palpiti dell’artista.
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