La rivoluzione del "vero"
I moti risorgimentali con le loro ideologie e i loro sentimenti fanno da catalizzatore ai fermenti anticlassicisti che pretendono, a metà del secolo diciannovesimo, il cambiamento nell’arte.
Nel corso del processo per l’unificazione del paese si era registrata un’ampia partecipazionedegli intellettuali al moto risorgimentale; pur dislocati diversamente negli schieramenti politici nazionali, essi avevano esercitato una funzione preziosa nel determinare momenti di unità a livello ideale e nell’approntare, soprattutto attraverso l’opera della letteratura, della filosofia e anche della pittura, un corpus di posizioni ideologiche capaci di fondare e riempire di contenuti l’idea di nazione che risulta, indistintamente per tutti, un’idea basilare. Nel novero degli intellettuali che partecipavano attivamente alla battaglia risorgimentale vanno compresi anche quei pittori “giovani” che univano agli idealipatriottici quelli del rinnovamento artistico, della lotta alle Accademie e agli accademisti.
L’ “occasione” risorgimentale per i pittori “giovani” fu altresì un momento d’incontro tra persone di differenti provenienze geografiche e culturali, di confronto e di consolidamento di quei principi che spingevano a “fare arte”.
Il processo per l’Unità d’Italia fu dunque, per un certo numero di artisti , la tessera fondamentale di un mosaico composito che artisticamente comprendeva la coscienza del principio del “vero”, la critica all’Accademia, con il conseguente affrancamento da essa, e gli stimoli a un rinnovamento sostanziale. E come a livello politico, così a livello artistico, i concetti propulsori possono essere indicati nella libertà, unità e individualità. Su tali concetti, infatti, si fondono le “scuole” che sorgono in Italia dopo il 1861 e che rivestono carattere nazionale attraverso lo scambio di informazioni e di idee, i contatti personali e di gruppo. Con il termine “scuole”, infatti, ci si riferisce a quei “centri” di Piagentina e di Castiglioncello ( Abbati, Borrani, Sernesi, Lega, Fattori, D’Ancona) in Toscana, di Resina ( Cecioni, De Gregorio, Rossano e De Nittis) a Napoli, di Rivara (Pittara, Avondo, Bertea, D’Andrade, Pastoris, Rayper, Issel) in Piemonte, nei quali i pittori “nuovi”, carichi di energia antiaccademica, trovarono un punto di riferimento e di confronto per la loro ricerca artistica. Questi centri, infatti, non furono surrogati dell’accademia, non costituirono una sua fase evolutiva, né tanto meno vollero essere una riproposizione dell’antica scuola nella quale il maestro era l’unico depositario di tecniche e talenti; bensì vollero assicurare una possibilità di sviluppo dei contenuti, di scambio di atteggiamenti “democratici”, di crescita individuale inserita in un contesto sociale. E la “libera” attività dei partecipanti fece sì che attraverso le singole esperienze si giungesse allo svolgimento di verità e di progetti comuni.
L’importanza di questi “centri” fu fondamentale perché da essi si può trarre il processo di meditazione e di evoluzione che gli artisti innovatori percorsero. Avendo essi stabilito che la pittura è pittura del vero e nel vero , che il carattere e il rapporto, il tono e il valore, sono da esprimere negli spazi di colore e che la luce deve entrare nella sintesi degli impasti, questi pittori si ritrovarono a confrontarsi in una dialettica i cui termini erano dati dall’esperienza, dalla conoscenza visibile e sensibile.
A Bologna la rivoluzione del vero non tocca direttamente l’esperienza degli artisti della prima metà dell’ ’800. L’Accademia della Restaurazione tiene lontana qualsiasi tensione (il romanticismo lombardo e il purismo romano, per esempio) che possa distrarre dalla compilazione del quadro storico e dalla commissione religiosa di cui la pontificia accademia è tramite. Il presidente Masini, pur sostenendo “un vero di natura” alla Brjullov , restava assolutamente attaccato alla conservazione, contrario a qualsiasi innovazione. Tra queste la Protettrice, di cui teme che possa innescare un processo di allontanamento degli artisti dai principi divulgati dall’Accademia e, in particolare, dal predominio da essa accordata alla pittura di tema storico.
In questa situazione “da non ritorno”, escono dalla palude del conservatorismo, tendendo l’occhio al vero, la pittura di paesaggio di Campedelli, la tecnica “a campiture” e quella coloristica “a macchia” di Guardassoni. Bisognerà attendere il primo decennio della seconda metà dell’Ottocento quando la rivoluzione del vero a Bologna avrà in Luigi Bertelli il suo primo protagonista. Questo artista bolognese e di grande spessore inietterà nel paesaggio padano la sua forza emotiva trasformandolo, attraverso la sua pittura, nella realtà del vero.
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