Raffaele Faccioli e gli artisti del suo tempo

Come si è precedentemente detto, la Bologna ex papalina è refrattaria alle istanze di rinnovamento, perché ancora legata alla conservazione politica e ostile al rinnovamento istituzionale e culturale. Gli artisti, per attingere alle novità ed alle atmosfere prodotte dai nuovi movimenti artistici, debbono uscire dalla città felsinea e cercarli altrove, nella stessa Italia e in Europa.

A Bologna l’accademismo e il decorativismo continuano ad essere pittura di riferimento. Il primo alimenta il soggetto storico e scolastico e procura commesse istituzionali e religiose. Il secondo punta sul vedutismo descrittivo, l’argomento mitologico e aneddotico, temi ideali per interventi estetici in abitazioni, ville e palazzi privati.

In questa situazione stagnante emergono, a Bologna, quattro figure di artisti: Luigi Bertelli, Luigi Busi, Luigi Serra e Mario De Maria che, insieme a Faccioli, daranno lustro in Italia e nel mondo, all’arte emiliana.

Si può dire subito che, per quanto riguarda il rapporto artistico Faccioli è in sintonia con Busi e Serra, non con Bertelli e De Maria.

Luigi Busi, più anziano di Faccioli e suo insegnante al Collegio Venturoli, è l’artista che maggiormente lo avvicina nella scelta del tema verista. Busi infatti aveva dipinto nel 1867/68 “Visita di condoglianze” che gli procura un premio alla I°Esposizione nazione di Parma nel 1870. L’importanza di questa opera oltre al soggetto trattato, così chiaramente indicato dalla titolazione, segna l’abbandono definitivo da parte dell’artista del quadro storico: fino alla sua morte si dedicherà a contenuti che esprimono la contemporaneità attraverso episodi della vita di tutti i giorni.

Faccioli e Busi, rispetto ai contenuti, sono sulla stessa lunghezza d’onda, ma si differenziano per la stesura e il linguaggio espressivo. Perciò, mentre Faccioli comunica atmosfere letterario-poetiche, Busi si intrattiene sull’attenzione minuziosa dei particolari, nella scelta precisa degli abbigliamenti, come pure degli arredi, degli accessori e delle suppellettili, arrivando a trascrizioni minute e raffinate, ricche di effetti fotografici. Vale per tutti, come esempio, “La commendatizia”, dipinto che, pur riflettendo la stesura intimista borghese del quotidiano della scuola di Piagentina (“La lezione della nonna” di Silvestro Lega, “ Interno di studio” di Telemaco Signorini), si sofferma, a scapito dei contenuti, in atmosfere che ricordano più propriamente lo stile biedermeier.

Con Luigi Serra ha punti di contatto forti.

Primo fra tutti la formazione. Lo stesso collegio, la stessa Accademia, lo stesso Pensionato svolto nelle stesse città, Firenze prima e Roma, poi.

In secondo luogo la tenace volontà di iniettare nel quadro storico il vero, in modo da scrollare di dosso all’immagine trascritta l’aneddoto e l’irreale.

E ancora la caparbietà di rappresentare il vero nella propria verità.

Questi sentimenti Serra li concretizza in tutta la sua opera. Inizialmente gli ideali dell’autore bolognese prendono corpo nella prova finale per il Pensionato Angiolini del 1870 “Annibale Bentivoglio prigioniero nel castello di Varano concerta la fuga con certo Danese Parolaio”. Poi li tuffa nella quotidianità popolare e contemporanea di “ Al Monte di pietà”. Infine li sistematizza nel suo ultimo capolavoro “Irnerio che glossa le antiche leggi”.

Il legame intellettuale ed espressivo unisce Serra e Faccioli fino al 1870, vale a dire per gli anni della loro formazione. Poi il primo sceglie l’impegno politico e sociale, l’altro la tensione letteraria del verismo. Resta l’ideale del vero nella verità a dare il
senso della continuità del loro rapporto.

Mario De Maria segue lo stesso percorso formativo di Busi, Faccioli e Serra. Di quest’ultimo diventa amico fraterno, tanto che nel 1882 lo seguirà a Roma, dove Serra resterà fino al 1888, anno della sua morte.

De Maria è l’innovazione anti-accademica.

A Roma, nel 1886, in occasione della prima mostra della Società “In Arte Libertas” fondata nello stesso anno da un gruppo di artisti innovatori, di cui Nino Costa è l’anima, De Maria presenta diciotto dipinti, tra cui lo sconcertante “La luna sulle tavole di un’osteria”. E’ uno choc per il pubblico. Da pittore sconosciuto diventa una “rivelazione”. Fantastico, visionario, evocativo sbalordisce per la libertà d’espressione, per l’intensità dell’uso del colore, per i soggetti che toccano i confini di un mistero in cui sogno, dolore, luce sono gli elementi di una dialettica che prende corpo da una tecnica caparbia, al limite dell’ossessivo. In tutto ciò è ovvia l’incompatibilità di intenti, di sensibilità e di stesura tra Faccioli e De Maria.

Luigi Bertelli è il più anziano tra i sopraccitati artisti e, al contrario di loro, non segue studi specifici in arte. Niente Collegio Venturoli, niente Accademia e niente Pensionato Angiolini. La sua formazione nasce dal dilettantismo tipico della borghesia del tempo (nel suo caso campagnola) che, si trasforma in professionismo, alimentato da una passione che gli fa intuire il senso più profondo dell’arte. Chi gli detta quella che sarà la sua estetica, Bertelli ce l’ha quotidianamente davanti agli occhi: la sua fabbrica, gli alberi attorno, il fiume e la pianura che si apre all’orizzonte. Bertelli non ha bisogno di uno studio nel quale dipingere il mondo attorno a lui. E’sufficiente una tavolozza di colori, una tavoletta, dei pennelli e lo sguardo per ritrarre “La pianura dall’alto”, “Tramonto”, “Aurora – Ponte degli stecchi” e tutti i dipinti che saranno presenti a tantissime esposizioni, riceveranno dei premi, ma lo costringeranno a mendicare acquisti e, comunque, a morire in miseria.

Il lavoro di Bertelli non ha proprio nulla da spartire con le opere di Busi, di Serra, di De Maria e di Faccioli. Se non la fede. Una sconfinata fede per l’arte che ci fa dire che la rivoluzione del vero, nei suoi aspetti più vari, a Bologna ha avuto non solo concreti risultati ma una reale militanza.

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